lunedì 28 novembre 2011

Successo per la manifestazione in piazza San Babila


Un grazie a tutti per l'ottima riuscita dell'evento del 26 novembre a piazza San Babila a Milano. Al di là dei numeri in piazza, siamo riusciti ad ottenere un servizio televisivo su La7, una fotogallery su Repubblica Milano, un articolo su Libero, l'intervista di Giacomo Zucco su La Stampa e brevi trafiletti sulle versioni online di Il Giornale e La Padania e poi vari articoli su Blog e giornali online. Credo che per un movimento nato da poco più di un anno e senza grandi appoggi alle spalle sia un grande risultato. Citiamo en passant il contributo del Piemonte con l'articolo su Lo Spiffero e L'Elzevirista e una corposa delegazione in piazza San Babila.
Ricordo a tutti quanti il  nostro profilo su Twitter:
Vito e Giulia

giovedì 24 novembre 2011

Manifestazione 26 novembre Milano Piazza San Babila

Per chi volesse partecipare alla manifestazione antitasse di Milano ci possiamo incontrare alla stazione di Porta Nuova a Torino sabato 26 alle 11.30. Alcune indicazioni:
Partenza da Torino, Ora 11.30.
Punto di incontro Stazione di Porta Nuova, binario del treno regionale delle 11.50.
Partenza da Torino alle 11.50
Arrivo alla Stazione Centrale alle 13.45
Prendere metropolitana linea Gialla in direzione di San Donato e scendere alla fermata Duomo
poi prendere linea Rossa in direzione Sesto 1 maggio e scendere a San Babila.

Punto di incontro per tutti i piemontesi che arrivano in Piazza San Babila
fontana di bronzo a forma di piramide ottogonale

mercoledì 23 novembre 2011

23 novembre1986, la prima marcia di liberazione fiscale

di Vito Foschi

Il 23 novembre del 1986, ben 25 anni fa, a Torino, si tenne una marcia contro il fisco che raccolse circa 35000 persone. Dell’evento furono promotori un gruppo di venti autodefinitosi irriducibili testardi che diedero vita al Movimento di liberazione fiscale fra i quali Sergio Gaddi editore del periodico Controstampa, Franco Miroglio e Natale Molari presidente del Cidas. Si aggiunsero all’iniziativa tre professori Sergio Ricossa, Antonio Martino e Gianni Morongiu a dare una sorta di patrocinio intellettuale. Allora come oggi a parlare di fisco si finiva di essere accusati di essere degli evasori fiscali o dalla loro parte, come se un evasore avesse la necessità di chiedere un fisco più giusto. È chi paga le tasse che sopporta il peso di un fisco esoso e vessatorio, non certo chi non le paga per propria furbizia o per compiacenza altrui.
La manifestazione si svolse nel massimo ordine ed ebbe un successo clamoroso con articoli sui principali quotidiani e una partecipazione straordinaria fatta da quelle persone abituate a lavorare e non a scendere in piazza a reclamare. Gente non pagata da partiti o sindacati, ma che di motu proprio, esacerbati ae a Torino guidati Daa marcia contro l'da uno stato vessatorio ed ostile, si era mossa per manifestare la propria contrarietà all’esproprio del proprio lavoro da parte dello Stato. Dopo aver ascoltato i tre professori, i manifestanti marciarono per le vie del centro fermandosi a Palazzo Carignano, sede del primo parlamento italiano, ove depositarono fac-simili di modelli “101” e “740”, le vecchie dichiarazione dei redditi. Ci fu anche la partecipazione di una piccola pattuglia di autonomisti guidati da Roberto Gremmo. Si era agli albori di quei movimenti che negli anni novanta portarono all’esplodere del fenomeno leghista. Nei giorni seguenti a quell’evento, a testimonianza del successo dell’iniziativa, furono pubblicate su Panorama le dichiarazione dei redditi di nove dei venti irriducibili testardi. Il sospetto che si trattasse di una ritorsione fu più che legittimo.
Sono passati 25 anni, il muro di Berlino è crollato, ma i problemi dell’Italia sono rimasti gli stessi: la pressione fiscale è ancora più elevata, i conti dello stato allo sbando, i risparmi tassati, la circolazione del contante ridotta, i servizi pubblici sempre più inefficienti, Equitalia che si comporta come lo sceriffo di Nottingham. Il fisco continua ad essere una vorace macchina succhiaricchezze e lo Stato un’efficientissima macchina di sperperi e ruberie. Il cittadino è ormai schiavo dello Stato e deve pagare anche per gli errori dei decisori politici. C’è un nuovo governo a Palazzo Chigi, che è stato messo lì per varare misure di lacrime e sangue, come se il debito pubblico non potesse essere ripianato da una forte riduzione delle spese e da un’accorta depatrimonializzazione dello Stato. La situazione è peggiore del 1986 e con la prospettiva di una patrimoniale alle porte.
Il Tea Party Italia aveva già deciso nei mesi scorsi di organizzare una manifestazione nazionale contro l’oppressione fiscale che si ricollega idealmente alla marcia che si tenne a Torino. Un manifestazione decisa quando c’era un governo di centrodestra e che ora si svolgerà con un cosiddetto governo tecnico, ma la sostanza non cambia. Una costante dei governi di centrodestra e di centrosinistra che si sono alternati negli ultimi vent’anni è di non aver posto mano a nessuna riforma importante.
La manifestazione contro la voracità fiscale si terrà a Milano, capitale economica d’Italia e facilmente raggiungibile, il prossimo 26 novembre in piazza San Babila nel pomeriggio dalle 14.30 in poi. Saranno presente l’on. Antonio Martino, a rappresentare la continuità della lotta contro la rapacità dello stato, il prof. Carlo Lottieri, Adriano Teso, Alessando De Nicola, l’ex-ministro Giancarlo Pagliarini, Carlo Stagnaro, Marco Respinti e molti altri.
Curiosamente, ma non tanto, il motto del Tea Party Italia, “meno tasse, più libertà”, ricalca il cartello di una delegazione di metalmeccanici autonomi Failm-Cisal, partecipante alla marcia di 25 anni fa: “meno fisco = più libertà”.
Da Torino si muoverà un folto gruppo di persone, che al contrario di altre manifestazioni, si autotasserà per esprimere la propria voglia di libertà. Ci saranno dipendenti, studenti, partite IVA, precari, casalinghe uniti dalla voglia di scrollarsi di dosso il peso insopprimibile di uno Stato sempre più rapace e vessatorio. Chi volesse aggiungersi al gruppo di Torino può inviare una mail al seguente indirizzo: teapartypiemonte@gmail.com o cercare Tea Party Piemonte su Google, Facebook o Twitter.



domenica 20 novembre 2011

L'epopea libertaria di Banana Joe

di Vito Foschi

Il film Banana Joe fa parte di uno dei tanti filoni della commedia italiana indirizzato ad un pubblico di bambini e famiglie, cosa sempre positiva. La trama è semplice, piena di buoni sentimenti, debitrice del mito del buon selvaggio, reinterpretato per la bisogna e ricucito sul simpatico Bud Spencer, che è anche l’autore del soggetto. In breve, il classico film per famiglie che nella semplicità e nell’economia di mezzi serve a far passare allegramente un po’ di tempo. Sembrerebbe, quindi, uno di quei film che non hanno nulla dire, ma in realtà, ad un esame poco più attento, è in grado di insegnare molto, in particolare sul rapporto fra individuo e società e di quello fra individuo e Stato.
Il protagonista è Banana Joe che vive in una foresta commerciando banane. L’uomo è analfabeta, fatto importante, ma in grado di provvedere a sé e di aiutare il prossimo, dato che provvede al sostentamento di alcuni bambini. Un individuo perfettamente integrato nella società in cui vive che oltre a lavorare per sé dedica parte delle proprie risorse alla comunità da cui è ricambiato dall’affetto. Nel villaggio in cui vive, lo Stato non esiste e gli abitanti sono lasciati a loro stessi. Lo stesso Banana Joe non possiede documenti che testimoniano la sua nascita ed il suo piccolo commercio è ovviamente fatto senza licenza statale.
Fermiamoci ad esaminare questa situazione. La prima cosa che possiamo notare è che la società preesiste allo Stato e semmai è lo Stato che in qualche modo discende dalla società. Gli uomini nascono, crescono, amano, lavorano, commerciano, si organizzano in comunità anche senza che esista uno Stato qualsiasi che fornisca un qualche bene pubblico. Banana Joe anche senza documenti esiste e vive. E la sua mole è quasi simbolicamente l’affermazione della voglia di esistere. Certo il film è cucito sul corpulento personaggio di Bud Spencer, ma non è semplicemente casuale. Quando più tardi il buon Banana Joe si scontrerà con l'impiegato dell’anagrafe come si potrà negarne l’esistenza?
Il villaggio, nel cuore della foresta, vive e cresce nella mancanza dello Stato e i cosiddetti beni pubblici che dovrebbero essere forniti dallo Stato, sono forniti dal privato, ovvero nel film, da Banana Joe che con la sua barca trasporta gratuitamente beni per la comunità. È indubitato che questa parte del film è tributaria del mito del buon selvaggio creato da Cristoforo Colombo, però rileva inconsciamente che la società preesiste allo Stato e che può esistere una società senza Stato.
Questa è la parte iniziale del film in cui ci viene presentato il protagonista per poi passare alla parte in cui sorgono le sfide che l’eroe deve affrontare. E come si presentano i problemi per il nostro eroe? Con l’appalesarsi dello Stato, of course! Dopo anni passati a commerciare banane gli viene chiesto di avere la licenza di commercio, oggetto misterioso per l’analfabeta Banana Joe. Il commercio è semplice: vendere le banane in cambio di beni per sé e per il villaggio. Cosa c’è da capire? Cosa è ‘sta licenza? Vi rendete conto di come la nostra mente sia malata di statalismo? Per noi è naturale chiedere licenze, concessioni, sottostare a tutti una serie di cervellotiche assurdità burocratiche, ma che cavolo c’entra tutto questo con il vendere banane? O con qualsiasi attività economica? Le cose si producono e si vendono, tutto il resto semplicemente è un sovrappiù. Quindi la prima comparsa dello Stato nel film, è per frapporre ostacoli al libero commercio di Banana Joe e la conseguente crisi del villaggio dato che il commerciante garantisce tutta una serie di servizi alla comunità.
All’eroe bisogna imporre un nemico ed ecco comparire un gangster che vuole impiantare una coltivazione di banane nell’idilliaco villaggio, con annessa casa da gioco in cui riprendersi i soldi degli operai della piantagione. Anche qui ritorna il mito del buon selvaggio, che vive nella semplicità e nell’assenza del vizio rappresentato nel film dalla casa da gioco e con la civiltà vista come distruttrice dell’idillio. In realtà non è proprio così e lo vedremo in seguito.
Intanto voi pensate che il gangster si presenti con la violenza per impiantare la sua piantagione e costruire la sua casa da gioco? Ma no! Lui le licenze le possiede e pretende che lo Stato gli tolga dai piedi Banana Joe che si frappone ai suoi piani. Ancora una casualità? Il delinquente che si fa forte dello Stato? O semplicemente una convergenza di interessi fra criminali, il predone singolo che si allea con il grande predatore statale contro la singola persona che soccombe? Se ci pensate, quante imprese italiane vivono grazie agli appoggi statali più o meno palesi a danno delle persone?
Fortunatamente il film è a buon fine e il nostro eroe raccoglie la sfida per ottenere la sconosciuta licenza. Nel frattempo, Banana Joe, conosce un truffatore che cerca di imbrogliarlo. Personaggio indubbiamente comico questo truffatore, ma che alla fine sarà la salvezza di Joe. Il truffatore rappresenta una sorta di Robin Hood, con la sua abilità nell’inganno, caratteristica che gli permette di sopravvivere ai soprusi dello Stato. Un’indicazione per il cittadino italiano?
Vediamo qualche altro dettaglio della trama. Il nostro eroe cerca di ottenere la licenza, ma ciò è impossibile perché lui non esiste all’anagrafe. Bellissima, ma realistica, la scena del rimpallo fra uno sportello ed un altro. Gli viene consigliato di fare il servizio militare per ottenere l’iscrizione all’anagrafe: gli viene imposto di lavorare gratis per lo Stato per un anno per dimostrare che esiste! Ma ci rendiamo conto dell’assurdità? Come si fa a dire che il corpulento commerciante non esiste? Fuggito dalla caserma, perché giustamente non voleva stare lì mentre aveva da attendere ai suoi commerci, si presenta all’ufficio anagrafe. L’impiegato gli chiede il documento attestante l’espletamento del servizio militare, al che il povero Joe non può che mostrare l’evidenza della divisa che indossa. Perso il controllo per l’ennesimo intoppo, il nostro eroe raggiunge l’ufficio del ministro, e impossesatosi del timbro si mette a timbrare tutti i documenti che gli irritatissimi cittadini gli sottopongono, giubilandolo come eroe: un tripudio di libertà. La vita di tante persone bloccate da un timbro, o meglio dalla volontà di sopruso di un politico, che non ha avuto nessun problema, dietro lauta tangente, a rilasciare tutte le licenze del caso al gangster. Insomma, lo Stato si pone come tappo per le attività delle persone e chiede una tangente per toglierlo. Banana Joe, ovviamente finisce in carcere dove rincontra il truffatore che nel frattempo con le sue innumerevoli amicizie è riuscito a fare ottenere la licenza al commerciante. Ancora un riferimento all’Italia, dove per superare gli inghippi burocratici è necessario rivolgersi all’amico giusto?
Usciti dal carcere, i due raggiungono il villaggio nella foresta dove ormai è stata costruita la casa da gioco. Fedele al suo personaggio, Joe la demolisce prendendo a pugni tutti i gangster. A demolizione avvenuta si presenta la polizia, ma stavolta inviata dal presidente del paese alla ricerca del truffatore per ringraziarlo. Il presidente è convinto che la moglie finalmente partorirà un figlio maschio grazie alle misteriose pillole procuratogli dal furbo imbroglione. La polizia, non più guidata da funzionari corrotti, riconosce il gangster come un pluriricercato e lo arresta. Si può dire che l’unica figura statale positiva è il presidente credulone, che come un vecchio sovrano concede il perdono al simpatico truffatore. Sara un caso? O forse come ci insegna lo studioso Hoppe le monarchie non erano poi tanto male? Dopotutto se in Italia il fascismo non è stato totalitario, fu grazie alla presenza della Monarchia e della Chiesa. Un’ultima nota, il personaggio femminile. Come ogni eroe che si rispetti anche Banana Joe deve avere la sua bella. Sempre per rimanere nel filone dei buoni sentimenti, la bella è la pupa del gangster, che Banana Joe in qualche modo redime. Il trionfo dei buoni sentimenti, ma a noi piace così! Interessante, il fatto, che la bella rimane nel villaggio per diventare la maestra dei bambini protetti da Joe e ovviamente di Joe stesso. Qui c’è una grossa differenza da evidenziare: la civiltà portata dallo Stato è quella del vizio di cui è promotore il gangster, mentre il privato sotto le belle forme della maestra porta un po’ di cultura senza imporre niente. Da una parta prepotenza, corruzione e vizio, dall’altra una scuola all’aperto per tutti. Che bella differenza! Questa ci riporta alla mente la colonizzazione, quando a grandi linee, il privato sottoforma di Chiesa agiva in modo più o meno corretto, mentre quando agiva lo Stato iniziava lo sfruttamento.

pubblicato in origine su Ultima Thule

martedì 15 novembre 2011

Il censimento e il Natale

di Vito Foschi

In questi giorni sono arrivati a casa i moduli da compilare per il censimento e gli italiani per l’ennesima volta donano del tempo allo Stato. Nei vecchi libri scolastici dove si parlava male del Medioevo veniva preso come esempio di oppressione le corvée, ovvero i servizi gratuiti che il servo della gleba doveva al signore. Sono passati i secoli, non siamo in un regime feudale, ci raccontano  che siamo liberi, ma continuano a svolgere compiti gratuiti per una fantomatica entità chiamata Stato che dovrebbe fare il nostro bene. Almeno nel Medioevo il signore feudale aveva nome e cognome, ma ora con chi ce la prendiamo? Con i funzionari ISTAT? Con 4 milioni di dipendenti pubblici? Con l’onorevole? È un po’ difficile poter identificare un singolo colpevole. Cosa ben peggiore è che siamo talmente immersi in una mentalità di tipo sovietico da non renderci conto delle corvée che subiamo e quando qualcuno ce lo fa notare facciamo spallucce e pensiamo che sia giusto regalare tempo allo Stato. Probabilmente alcuni hanno tempo da perdere per cui lo possono regalare senza pensiero, ma per la gran parte delle persone il tempo è una risorsa preziosa e scarsa.
L’Italia dovrebbe avere la fortuna di essere un paese cattolico, almeno sulla carta, perché come  evidenzia lo scrittore Langone è ormai diventata un paese protestante in cui la religione è ridotta a becero moralismo. Così abbiamo sedicenti cattolici che idolatrano lo Stato o la Natura, dimentichi del vero Dio, delle parole del Vangelo e pronti a scagliare la prima pietra.
Come cattolici la prima volta che sentiamo la parola censimento è al catechismo e ci viene regalata una immagine piuttosto cruda del potere politico. Strappare una madre in procinto di partorire dalla sua casa, costringerla ad un viaggio faticoso e infine a un partorire in una stalla non è proprio una bella presentazione per il censimento. Chiaramente se pensiamo che il Vangelo sia una bella favoletta possiamo non occuparcene, ma dato che l’Italia si considera ancora un paese cattolico, dovremmo prestargli fede e anzi da credenti essere sicuri che sia ispirato da Dio. E se così è, la stessa scelta delle parole o la sequenza dei fatti è significativa: se il Vangelo inizia con la violenza disumana da parte dello Stato un motivo ci sarà. È piuttosto evidente che il censimento viene visto come violenza assurda da parte dello Stato che non si arresta neanche di fronte ad una donna incinta. Quello che caratterizza il potere politico è la sua disumanità nel pretendere che tutti gli uomini siano una sorta di soldatini di legno da muovere a piacere e intercambiabili tra loro. Così, deciso le modalità del censimento, non si ferma di fronte all’assurdità di far intraprendere un viaggio ad una donna incinta. La legge è legge. E sempre il singolo uomo che si piega alla volontà dello Stato. Il cristianesimo al contrario esalta ogni singolo uomo nella sua diversità.
Non si capisce l’acquiescenza di gruppi di cattolici nei confronti dei continui abusi da parte dello stato. Al di là del censimento, in sé un atto minimale, ma che sommandosi ad una moltitudine di altri, ci porta ad essere sotto il controllo totale dello stato, quello che preoccupa, è la totale acquiescenza in ciò. Anzi, tanti benpensanti cattolici chiedono più controlli gridando all’untore se un cittadino non rispetta le regole che siano fiscali o più semplicemente burocratiche, totalmente dimentichi dell’insegnamento del Vangelo. Per questi cattolici sembra che Gesù non sia venuto al mondo per gli uomini, ma per difendere gli Stati. Bisognerebbe ricordare cosa disse Gesù sulla regola del sabato. Presso gli ebrei il sabato era il giorno dedicato a Dio e non si poteva svolgere nessuna attività lavorativa. In un passo dei Vangeli si racconta di come i discepoli in un giorno di sabato si misero a raccogliere alcune spighe di grano per fame attirandosi l’ira dei farisei che urlarono alla regola violata. Gesù risponde citando l’analogo episodio di Davide che addirittura aveva violato le offerte del tempio per sfamare i suoi uomini, ma soprattutto dice:  “Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l’uomo per il sabato!”(Mc 2,27). Parafrasando il Vangelo: è la legge fatta per gli uomini o gli uomini per la legge? Bisognerebbe ricordarlo ai tanti adoratori della costituzione, novello vitello d’oro.
Un altro aspetto importante da chiarire della dottrina cristiana è che non affatto vero che il buon cristiano debba sottomettersi a qualunque legge. Il passo degli Atti degli Apostoli (5,9) è piuttosto esplicito: «Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini». I primi cristiani lo misero in pratica  rifiutando di prestare servizio militare per l’Impero Romano andando incontro al martirio. Nel Medioevo questo principio si completò nel cosiddetto diritto di resistenza ovvero nel diritto della persona a resistere al potere illegittimo. Questo aiuta anche a capire anche qual’era il potere di scomunica del Papa. In sé può sembrare un atto incapace di produrre effetti, ma in realtà autorizzava chiunque a compiere qualsiasi atto contro lo scomunicato, sapendo di non compiere peccato. San Tommaso afferma: «Chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio». Il diritto di resistenza, come evidente, è cosa ben diversa da una generica sottomissione del buon cristiano alle leggi degli uomini.
Concludendo, con il censimento continuiamo  a svolgere le nostre corvée per lo Stato, a dare informazioni per essere controllati sempre più minuziosamente e i cattolici cosiddetti “adulti” ad idolatrare la Legge dimentichi di Dio e degli uomini.