domenica 30 ottobre 2011

All’ombra della crisi piccoli liberali crescono

Riportiamo l'articolo de Lo Spiffero in cui si parla del Tea Party Itali

Pubblicato Sabato 01 Ottobre 2011, ore 8,30 su Lo Spiffero

Sono i nipotini di Einaudi e Hayek e hanno in Ricossa il loro indiscusso maestro. Sotto la Mole un gruppo di giovani e brillanti studiosi professa (rinverdendola) la rivoluzione liberale: Stato minimo, privatizzazioni, meno tasse, meritocrazia

Colti e disillusi, brillanti ma per il momento in disparte, diffidenti verso ogni forma organizzata di politica politicante. Nei mesi della crisi globale, Torino riscopre grazie ad alcuni giovanissimi interpreti la propria vocazione liberale. Sono i pronipoti di Luigi Einaudi, ma il patrimonio genetico spazia da Thomas Jefferson a Milton Friedman, da Friedrich von Hayek ai concittadini Sergio Ricossa, Bruno Leoni e Enrico Colombatto. La loro bibbia è “La Rivolta di Atlante” di Ayn Rand e come John Galt rivendicano il diritto - e persino il dovere - di vivere perseguendo i propri interessi secondo quell’etica dell’«egoismo razionale» che assegna all’individuo fine e valore in sé. Si riuniscono in gruppi di discussione informali e poco strutturati, come il Tea Party - sulla scorta del movimento nato e affermatosi negli Stati Uniti – oppure Ora Liberale. Il motto è il medesimo per tutti: «Meno Stato, meno tasse, più libertà».

Si oppongono alla presenza sempre più invasiva dello Stato nella vita di ogni singolo individuo, lo "Stato massimo" un Moloch, il Leviatano hobbesiano che determina le regole e poi pretende di giocare la partita, spesso anche senza avversari, come nel caso dei tanti regimi monopolistici ancora esistenti, dai servizi pubblici alle sigarette. «Quando lo Stato diventa imprenditore esercita una concorrenza sleale nei confronti di chi imprenditore lo è davvero e rischia il proprio capitale, non quello della collettività» spiega Riccardo De Caria (nella foto a sinistra), 27 anni, alle spalle una laurea in giurisprudenza, un dottorato e un master alla London Scholl, ricercatore all'Università subalpina.

Affamare la bestia in modo da dare libero sfogo agli ancestrali animal spirits: meno Stato, più mercato, concorrenza, meritocrazia. «Il pubblico ha usurpato la comunità di ogni prerogativa: uccidendo le vecchie società di mutuo soccorso e tutti quei modelli associazionistici che si erano affermati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. A fronte di una tassazione sproporzionata offre dei servizi limitati e spesso inefficienti». A parlare è Domenico Monea, studente di medicina appena 22enne. E se gli si chiede quale possa essere la sua idea di welfare risponde: «Lo Stato oggi è la versione secolarizzata della religione. La gente si aspetta che si sostituisca a Dio e fornisca una risposta a ogni loro esigenza».

Sono in gran parte studenti o professionisti a inizio carriera, hanno un’età che varia tra i 20 e i 30 anni e, a differenza dei loro genitori (politici), non provano alcuna soggezione nei confronti delle ideologie egemoni che, seppur sbrindellate, vanno per la maggiore tra i coetanei. Comunicano attraverso internet, molti di loro hanno già vissuto esperienze lavorative o formative all’estero, come Giovanni Boggero, tra i fondatori, con De Caria, di Ora Liberale e collaboratore del giornale on line Linkiesta, attualmente a Berlino per un dottorato. Hanno vissuto esperienze più o meno travagliate nelle giovanili di partito - dall’Italia dei Valori al Pdl - tutti, però, ne sono usciti, persuasi del fatto che «oggi nessuno è in grado di rappresentare queste istanze» spiega uno dei coordinatori del Tea Party torinese, Vito Foschi. Concordano nel definire l’ultima Finanziaria, lontanissima da ciò che loro professano («abolizione degli ordini professionali, liberalizzazione dei servizi pubblici, dismissione da parte dello Stato e degli enti locali di società e imprese nelle quali detengono delle partecipazioni, sburocratizzazione della pubblica amministrazione, taglio della spesa pubblica, abbattimento delle tasse e misure per favorire la libera imprenditoria») e non escludono un default imminente per l’Italia: «Il che non è detto sia una cattiva notizia – riflette Niccolò Viviani (foto in alto a destra), 22 anni, futuro ingegnere gestionale, considerato un enfant prodige –. Anzi, potrebbe essere l’unica via per rifondare la nostra nazione su presupposti nuovi».

venerdì 28 ottobre 2011

I sindacati e l’isola che non c’è

di Vito Foschi

Fra i tanti punti di discussione dell’ultima finanziaria, ci sono state forti critiche da parte del mondo sindacale sull’articolo 8, che secondo alcuni è un cavallo di troia per introdurre la libertà di licenziamento. Si potrebbero fare delle considerazioni di principio sulla libertà contrattuale che viene ridotta da una legislazione che vieta il licenziamento; oppure, dato il continuo riferirsi alla costituzione ricordare il principio di uguaglianza che in qualche modo contrasta con il fatto che un comune cittadino può firmare il contratto che vuole mentre una volta acquisita la qualifica di imprenditore non può più farlo. Così, tanti non vedrebbero nulla di strano a mandar via, per esempio, l’idraulico che facesse male un lavoro, ma trovano “strano” licenziare un dipendente. Queste considerazioni per quanto interessanti cedono il posto ad altre ben più fondamentali.
Il licenziamento prevede l’assunzione, ma il problema odierno non è il precariato? Ovvero la negazione dell’assunzione? Se viene a mancare questa, che senso ha, preoccuparsi del licenziamento? Mettetevi nei panni di un precario a cui vengano negati tutti i diritti posseduti da un dipendente vecchio stampo, ferie pagate, malattia, permessi, cassa integrazione, mobilità e con in più la possibilità di essere mandato via seduta stante senza nessuna forma di tutela. Potete ben capire che la battaglia per l’articolo 8 sembra veramente fuori dal mondo. Qualsiasi precario sarebbe felicissimo di accettare la libertà di licenziamento in cambio di un contratto regolare perché significherebbe passare da una condizione pessima ad una più che buona. Attualmente fra stage, co.co.pro., partite IVA monocommittente, una persona può essere spedita a casa senza preavviso e senza alcuna giustificazione. Queste tensioni da parte sindacale ricordano le analoghe relative al nuovo contratto della Fiat: da una parte i precari che avrebbero fatte salti mortali per sottoscrivere il nuovo contratto e dall’altra, i sindacati che gridavano allo scandalo per dei ritocchi su pause e turni.
Gli iscritti del sindacato sono pensionati, dipendenti pubblici e alcune fasce di dipendenti privati e l’azione sindacale si trasforma in semplice azione di lobbying per queste categorie. I giovani? Non li tutela nessuno. Come per le pensioni si creano due gruppi di lavoratori, quelli relativamente  giovani che non godono di nessun diritto e i meno giovani iperprotetti, gli intoccabili. Per assurdo, nella stessa azienda a fare lo stesso lavoro, colleghi di scrivania hanno contratti e garanzie totalmente diverse e non certo per differenti capacità o merito, ma solo per una questione anagrafica. Si capisce bene l’accordo sindacati-Confindustria per rendere inefficace l’art 8: tanto nulla cambia. In poche parole, i privilegi e gli sprechi del passato li si sta facendo pagare ai giovani, con i relativamente vecchi che in qualche modo vengono ancora tutelati. Un sistema così squilibrato chiaramente non può durare a lungo.
Questo discutere sul nulla sembra solo un voler distogliere l’attenzione dai problemi veri. Al di là delle differenze ideologiche sarebbe utile tornare a parlare della realtà e non discutere di un universo parallelo che esiste e resiste solo nelle menti legate ad un passato ormai lontano.

Pubblicato anche su Lo Spiffero del 10 ottobre 2011

mercoledì 19 ottobre 2011

"La Sfida per le Primarie (Dibattito del 18 ottobre 2011): le Risposte di Ron Paul"




Breve traduzione delle risposte:

  • Lei ha definito “pericoloso” il piano Cain. Perché?
  • È un piano pericoloso, accresce gli introiti fiscali e rappresenta un’ipotesi di imposta regressiva. Ma il punto principale è: “con cosa sostituireste il minor gettito derivante dalla soppressione dell’imposta sul reddito?” NULLA! Questa è la mia risposta. Vorrei far rilevare che la spesa pubblica è già, di per sé, una “tassa”; il governo può spendere attraverso i proventi dell’imposizione fiscale, il prestito o la creazione di nuova moneta (e quindi i prezzi salgono, ciò che succede oggi). A pagare sono sempre i cittadini. Questo è il motivo per il quale propongo un taglio iniziale da 1 trilione di dollari! La spesa è il problema.

giovedì 13 ottobre 2011

Ritornare al capitalismo per evitare le crisi

Si è svolta a Torino, presso la libreria Dante Alighieri, piazza Carlo Felice, la presentazione dell'ultima fatica di Pascal Salin, economista francese, esponente della scuola austriaca e specialista in scienze delle finanze: "Ritornare al capitalismo per evitare le crisi".
Presenti anche Vincenzino Caramelli, docente di scienza delle finanze all'università di torino, facoltà di giurisprudenza e portavoce del CIDAS (grazie al quale è stato possibile realizzare l'evento) e Carlo Lottieri, filosofo del diritto presso l'università di Siena.

Intervenendo per primo, Salin ha subito voluto chiarire come l'attuale crisi del debito sovrano non sia affatto una conseguenza dell'immoralità del sistema capitalistico, ma il naturale approdo di uno statalismo sempre più forte ed oramai onnipresente. Nello specifico, l'idea che le crisi economiche possano essere risolte attraverso stimoli fittizi basati sulla creazione di moneta ex novo da parte delle autorità monetarie, manipolazioni del tasso di interesse (tassi eccessivamente bassi hanno provocato espansioni insostenibili del credito e malinvestimenti in molti settori economici) che, secondo Salin, altro non è che il "prezzo del tempo" ed intrusioni ossessive della regolazione burocratica nell'attività economica sono alla base degli odierni problemi finanziari e monetari.

L'autore ha poi puntato il dito contro l'atteggiamento salvifico delle banche centrali (Fed in particolare) che eliminano sostanzialmente il rischio di fallimento: ciò ovviamente, porta a fenomeni di "moral hazard" (azzardo morale) che sono all'origine dell'odiato fenomeno meglio conosciuto come "privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite".

Ulteriore enfasi è stata posta da Salin su un fattore spesso ignorato dalla letteratura economica contemporanea: la dissociazione tra governance (scelte aziendali) e proprietà sostanziale. Portando l'esempio degli istituti bancari del XIX e XVIII secolo, l'autore ha sottolineato la differenza sostanziale che intercorre tra questi ultimi e quelli oderni: i proprietari dei primi erano anche coloro che si occupavano delle scelte manageriali ed imprenditoriali, mentre negli istituti bancari contemporanei la proprietà, detenuta da piccoli azionisti, è spesso dissociata dal management (che è costituito da salariati) e questo può provocare fenomeni di rischio eccessivo nelle scelte adottate dai manager, che non hanno responsabilità proprietaria. In generale, la scomparsa della responsabilità e della moralità individuale è una coseguenza del continuo intervento statale nell'economia.

In sostanza non ci troviamo più di fronte ad un sistema capitalistico (da intendersi come "sistema di legittimi diritti di proprietà"), ma ad un sistema pesantemente distorto dall'intervento statale moderno che, attraverso la fiscalità, spesso punisce l'accumulo di capitale, distorcendo la struttura produttiva.

Per Salin, gli Stati e le loro politiche keynesiane sono i responsabili principali di questa crisi, essi non possono farsi promotori di stabilità finanziaria e monetaria.

La presentazione ha poi visto l'intervento di Carlo Lottieri, che si è soffermato sul concetto di "lotta di classe" nelle socialdemocrazie moderne: essa non è più uno scontro marxiano, tra detentori dei mezzi di produzione e non, ma tra produttori laboriosi e parassiti burocratici, che tendono a vivere dei frutti dei primi. Questo sistema ("crony capitalism") è la causa della crisi morale in cui siamo immersi ed è necessario reagire ad essa sviluppando una teoria della giustizia liberale coerente, che si sganci dalle logiche coercitive statali e dia preminenza alla volontarietà dei rapporti sociali, attraverso un superamento del concetto stesso di "sovranità".

Salin ha quindi chiuso la presentazione con una nota sul futuro: sconfiggere l'interventismo, nelle socialdemocrazie moderne, non è facile. Tuttavia è necessario che gli errori intellettuali, che provocano catastrofi reali, siano evidenziati e resi pubblici, col fine di tornare, seguendo la direttrice impartita dai maestri della Scuola Austriaca (Mises ed Hayek in particolare), all'unico sistema possibile, moralmente ineccepible e del tutto pacifico: il capitalismo.

Luigi

domenica 9 ottobre 2011

La bufala del sommerso

di Raffaele Terlizzi

Nel seguente articolo è spiegato molto bene il meccanismo del sommerso nel pil.

http://www.gragusa.org/blog/2011/09/pil-ed-economia-sommersa/

il pil totale viene calcolato inserendo all'interno anche il valore del sommerso che viene stimato dall' istat .Nel 2008 viene stimato in circa il 17% .
Cosa vuol dire questo? che se si accertasse che il sommerso è inferiore a questo valore si avrebbe una riduzione del pil con conseguente aggravio del deficit. Viceversa l'aumento di questo valore farebbe aumentare il pil con conseguente diminuzione del deficit.
Il valore del sommerso è stimato e quindi per definizione variabile. Non si sa esattamente chi evade e anche la distinzione fra economia sommersa  ed economia  criminale è molto labile e quindi ci possono essere dei travasi fra l'una e l'altra difficilmente calcolabili. Il camorrista che prende il pizzo evade l'IVA come il commerciante che non da lo scontrino. Nel primo caso è economia criminale , nel secondo è economia sommersa. Veniamo al punto: il variare del calcolo del sommerso nel pil varia di molto il calcolo del deficit senza che vi siano interventi di tipo economico sul bilancio dello stato. Questo spiega il perchè la classe politica tutta, maggioranza ed opposizione, picchia così forte sull'evasione. Non perchè colti da spirito etico ma semplicemente per spingere quel valore verso l'alto. Se l'istat certificasse un 18% magicamente il valore del deficit si abbasserebbe dell'1%. Tutti infatti si affrettano ad ingigantire il valore del sommerso perchè solo un incremento certificato può portare ad un incremento del pil. A fronte di un pil con un 17% aleatorio, lo stato spende un 17% reale.
L'economia sommersa viene inserita in tutti i pil. Guarda caso la grecia è quella che ha l'evasione più alta di tutti. Non ha importanza che sia vera o falsa, l'importante è che rientri nel pil col valore più alto possibile.